Essere madre

Essere madre senza smettere di essere donna

Segui sempre le 3 “R”. Rispetto per te stesso. Rispetto per gli altri.
Responsabilità per le tue azioni.
[Dalai Lama]

Sono diventata madre per la prima volta a 32 anni e per la seconda a 35. A quasi 54 anni, con un figlio che ha compiuto da poco 18 anni e una figlia che ne ha quasi 22, parafrasando una famosissima canzone di Fiorella Mannoia, posso dire la mia sull’essere madre senza smettere di essere donna e senza rinunciare all’affermazione sul lavoro.

Adoro i miei figli, ma non ho mai premesso loro di fagocitarmi né li ho mai fatti diventare la mia unica ragione di vita. Non mi sono mai sentita in colpa per il tempo lontano da casa, ogni volta che il lavoro lo richiedeva, o per le volte che li ho lasciati con la nonna per godermi una serata o una giornata insieme al loro padre prima e al mio compagno poi.

Li ho abituati fin da piccoli a non dipendere da me, rendendoli autonomi in tutte le cose che potevano fare da soli, mano a mano che crescevano, e abituandoli a non avere solo me come figura di riferimento.

Ammetto che non tutte le donne possano contare sulla disponibilità di una nonna e su un compagno che vuole e sa prendersi cura dei figli, al pari di una madre.

Tralasciando la disponibilità delle nonne, su cui non abbiamo controllo, credo che, se un compagno non si assume la stessa nostra responsabilità nell’accudimento dei figli, noi ne siamo responsabili. Credo stia a noi coinvolgerlo e farlo sentire importante tanto quanto noi nelle varie cure di cui nostro figlio ha bisogno.

In generale noi mamme italiane tendiamo ad essere troppo presenti, finendo per diventare le uniche figure di riferimento per i nostri figli, il che ci rende praticamente indispensabili e ci condiziona la vita per molti anni.

I miei figli li ho desiderati entrambi ma diventando madre non ho smesso di essere donna e compagna, né ho smesso di svolgere un lavoro che amavo e che spesso mi portava fuori casa, anche per più giorni.

Insomma, una volta diventata madre, non ho fatto ruotare tutta la sua vita intorno ai figli, lasciando il lavoro, trascurando il compagno, dimenticandomi di se stessa.

Non l’ho fatto perché i miei figli, pur essendo una parte importante della mia vita, non sono tutta la mia vita e quindi la mia vita non può dipendere da loro, esattamente come non può e non deve dipendere da un compagno o da un lavoro.

Credo che, quando una madre riesce a non far dipendere la propria vita dai figli, riesce anche a non sentire il bisogno di controllare la vita dei propri figli, perché sa bene che i figli non le appartengono, anche se è lei che li ha generati.

Per avere chiara questa semplice verità, basterebbe ricordare quanto ci pesava, da figli, il controllo dei genitori quando ci ritenevamo abbastanza responsabili da decidere in autonomia quando rientrare, con chi uscire, cosa fare.

Per potersi permettere di non controllare i propri figli, però, bisogna essere stati capaci di acquisire autorevolezza ai loro occhi, attraverso il dialogo e la responsabilizzazione.

Ogni età ha un livello di responsabilità che possiamo e dobbiamo riconoscere loro. Si inizia con la responsabilizzazione del mangiare da soli, del vestirsi e allacciarsi le scarpe da soli, passando a quella del lavarsi e del rimettere in ordine la stanza, fino a quella delle piccole commissioni e della gestione dei compiti a casa e, piano piano, si passa alla responsabilizzazione verso gli altri, alla riflessione sulle conseguenze di ogni comportamento, lasciando la libertà di scegliere quale tenere, ma avvertendo sulle possibili conseguenze di ognuno di essi e quindi educando alla valutazione di ciò che ogni scelta si porta dietro.

Certo, i figli crescono e crescono in branco e il branco, si sa, a volte, sa essere molto feroce. Il branco accoglie ma sa anche emarginare, se non ti adegui alle sue logiche. È allora che bisogna saper trasmettere ai figli l’importanza del rimanere fedeli a se stessi, anche a costo di restare soli.

Nell’educazione dei miei figli ho puntato sempre su due valori, che per me erano importanti, la coerenza con i propri principi e l’assunzione di responsabilità verso le proprie azioni. La frase che dicevo loro più spesso era “qualunque cosa tu stia pensando di fare, falla solo se hai il coraggio di assumerti la responsabilità delle sue conseguenze, se non ce l’hai, allora non farla”.

L’altra cosa che, come madre e come donna, ho cercato di trasmettere loro è stata l’importanza della cooperazione nella gestione della casa. Fin da piccoli li ho educati ad occuparsi entrambi, senza distinzione di sesso, di tenere pulita e in ordine la loro camera, lavare i loro vestiti, stirarli, riporli e dare una mano nella gestione del resto, dal cucinare al pulire, al fare la spesa.

L’ho fatto perché, come donna, sono convinta che non sia giusto che la cura della casa ricada solo sulla donna, ma debba essere condivisa, e penso che se gli uomini italiani sono ancora poco collaborativi con le loro compagne, la responsabilità sia delle madri che hanno avuto.

I nostri figli saranno i compagni di domani e sta a noi educarli al rispetto della futura compagna, sotto ogni punto di vista.

Lo ribadisco, essere madre non era la mia priorità, ma quando mi guardo indietro devo ammettere che è la cosa, tra tutte quelle che ho fatto, che mi è riuscita meglio.

Oggi che sono cresciuti e si stanno preparando a vivere la loro vita lontano da me, li osservo e mi compiaccio per come li vedo affrontare la loro vita, portare avanti le loro scelte, assolvere ai loro impegni, assumersi le loro responsabilità. Hanno entrambi una solida rete di amicizie e godono entrambi della stima di molti adulti per la loro educazione, sensibilità, generosità, profondità, disponibilità, nobiltà d’animo e anche intelligenza.

Non so quanto tutto questo sia merito mio e quanto invece merito loro, del loro carattere, della loro intelligenza. So solo che io, come persona, li ammiro per ciò che sono e, come madre, sono orgogliosa di loro.

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Informazioni sull'autore

Luisa Rosini

Sono una che si fa tante domande e cerca di andare sempre oltre le apparenze. Questa mia attitudine, unita alla formazione in counseling e in coaching, mi permette di comprendere velocemente l’essenza della persona che ho davanti (motivazioni, valori, attitudini, competenze, aspirazioni) e di intuirne la vocazione ossia lo scopo che la spinge ad agire.

2 commenti

  1. Danila dice:

    il vestito da Wonderwoman dove lo conservi??

    1. Magari avessi il vestito da Wonderwoman!

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